Alcuni dei testi più belli di Piero Marras

trovate altri testi sul sito Steveblos

 

 

Marras

Fuori campo 1977

 

Fuori campo

 

L’hai trovata Marcellina la tua verità?

L’hai scoperto sorellina quello che ti va?

Li hai bruciati i tuoi capelli, gli abitini blu?

Le tue gambe e gli anelli li hai buttati giù?

Voglio proprio confessarti

che mi è sempre un po’ piaciuto

farti piangere la sera

e poi correre e abbracciarti.

Voglio dirti, e te lo giuro,

che non mi è servito a niente

saper fare, stando in piedi, la pipì sul muro.

Hey hey hey gente

come va laggiù?

Qui la vita non si sente

non ritornerò mai più.

Buonanotte Garibaldi

smetti di abbaiare

neanche a venderti per soldi

ti si può smerciare.

La tua razza un po’ marziana

ti difenderà

dall’amore di una befana,

dalla sua bontà.

Se tu fossi un po’ cristiano

non mi aspetteresti ancora

capiresti in fondo

che il padrone tuo è un ruffiano.

Se tu fossi meno cane

non mi avresti perdonato

di averti educato come un buon soldato.

Hey hey hey gente…

Caro amico per le palle

dimmi cosa fai

speri ancora in qualche stella, ù

quella che non hai?

L’hai trovata quella cosa

che cercavi tu?

Quel tuo sogno un po’ italiano

sotto i cieli blu?

Fermo lì non ti incazzare

non si può neanche scherzare…

Vecchio di un mandriano

ti sei messo a far l’indiano

corri a fare la tua guerra

faccia in alto e culo in terra

a tirare sassi al cielo.

Ma che bel guerriero!

 

Chissà se fuori

 

Stasera non si affitta,

niente idee,

la mente slitta

verso i soliti nevrotici perché

e l’ansia che ritorna lì

cercando fra le corde, lì,

un lirico risvolto a tutti i se.

Ma i segni di un’assenza

già drammatica presenza

sono qui, li so sentire,

son la sola ristagnante verità.

E il suono di un accordo

un po’ monotono, un po’ sordo,

più non riesce a farmi male

più non stuzzica la mia vitalità.

Chissà se fuori c’è ancora una città.

Attento al tuo castello, sai,

non serve che sia bello

basta un attimo per farlo andare giù

quell’attimo ha una storia,

è una costante ormai notoria,

che rivela la tua scarsa identità.

E il merito è di un cielo

di una sera un po’ malata

di una voglia malandata

di un capello che agonizza e cade giù.

E allora questa stanza

l’arroganza delle cose

le speranze ormai corrose

sembra tramino per far complicità.

Chissà se fuori c’è ancora una città.

Buongiorno dolce fata

come mai ti sei svegliata

sembri uscita da un infausto telefilm.

Ti serve un buon cristiano

dal sorriso americano

come dire "su di me ci puoi contar".

Ti canto una canzone.

Vuoi la più sentimentale?

Vuoi quell’altra un po’ banale?

Oppure quella che ti aiuta a riposar?

Oppure vuoi sentire

questa voce mia nitrire?

Vuoi che faccia la gallina?

Vuoi che invecchi, dimmi cosa ti va.

Chissà se fuori c’è ancora una città…

 

Il figlio del re

 

Dimmi cosa mi hai portato

padre mio.

Dimmi cosa mi hai portato.

"Ti ho portato

un sacco pieno di esperienza

perché guidi la tua vita.

L’esperienza saprà far di te

il più potente re.".

Non la voglio,

non mi serve l’esperienza,

puoi gettarla in fondo al mare.

L’esperienza che mi porti

è un brutto libro

tutto da dimenticare..

Dimmi cosa mi hai portato

madre mia.

Dimmi, cosa mi hai portato.

"Ti ho portato

un cesto carico d’affetto

che riempia la tua vita.

Il mio affetto, lo sai,

mai lasciarti saprà, mio re.

"Non lo voglio,

non mi serve questo affetto.

Puoi gettarlo in fondo al mare.

Quest’affetto che mi porti

è la mia croce,

la mia angoscia naturale.".

Dimmi cosa mi hai portato

mio giullare.

Dimmi, cosa mi hai portato.

"Ti ho portato

un sacco pieno di allegria

che rallegri la tua vita.

L’allegri scaccerà

la tristezza che hai, mio re.".

Non la voglio,

non mi serve l’allegria.

Puoi gettarla in fondo al mare.

L’allegria che tu mi porti

è solo un trucco

perché possa non pensare.

Dimmi cosa mi hai portato,

vecchio servo.

Dimmi, cosa mi hai portato.

"Ti ho portato

la miseria della gente.

Ti ho portato il suo dolore.

Ti ho portato

la gran rabbia della gente.

Ti ho portato il suo tormento.

Ti ho portato

pure un lembo di speranza.

Ti ho portato un filo d’erba.

Ecco, adesso se vuoi,

tu frustarmi potrai, mio re.".

Prenderò la tua miseria,

vecchio servo.

Ne farò la mia esperienza.

Prenderla tua gran rabbia,

vecchio servo.

Ne farò il mio solo affetto.

Prenderò la tua speranza,

vecchio servo.

Ne farò la mia allegria.

 

La rabbia di ieri

 

Ti sei messo il vestito di ieri

per riprendere i vecchi sentieri

per scrollarti la rabbia di dosso

per uscire un momento dal fosso.

Dove andrai questa sera?, rispondi

Che farai questa sera?, rispondi.

Io farò come fanno gli uccelli

volerò verso i posti più belli.

Canterò fino a tardi ogni sera

cercherò anch’io la mia primavera.

Dio, che artista!, che artista!

si vede

lui compone, lui canta…

Ci crede!

Si, ci sai proprio fare

continua a cantare

raccontaci ancora di te.

Ma la rabbia di ieri, dov’è?

Quella rabbia di ieri , dov’è?

E girarsi di scatto a guardare

per sorprendere il mondo a barare.

Ma le cose si tengono al suolo

e nessuno tradisce il suo ruolo

E la madre fa bene la madre

con la sua tenerezza ti uccide.

E l’amico fa bene l’amico

lui più serio, più calmo, gentile.

E anche tu che mi abbracci ogni sera

anche tu sembri tanto sincera.

Dio che artista, che artista!

Si vede!

Lui ti centra, ti scava,

non cede.

Si, non sei troppo finito

qualcuno l’hai convinto

continua a parlarci di te.

Ma la rabbia di ieri, dov’è?

Quella rabbia di ieri dov’è?

 

Notte lituana

 

C’era una volta la luna

con un codazzo di stelle

addormentata sul mare.

E’ una gran bella fortuna

in questa notte lituana

poterla ancora guardare.

C’erano sogni di neve

e filastrocche di sole

da sussurrare nel vento

e i figli grandi dei figli

con quella solita faccia

da militante contento.

Io non ne posso la vita

di questo nostro andare

di questa guerra infinita

dei morti da ammazzare.

Io non ne posso la vita

di questo camminare

di questa terra smagrita

dove si ubriaca il mare.

Mamma dovresti vedere

come son bello stasera

sembro davvero un soldato.

Ho la nevrosi al sedere

lo sguardo dentro un bicchiere

e sono tutto sudato.

Amore amore bambino

meglio di un fiasco di vino

ti porto ancora nel cuore.

Mi ci vorrebbe un bacino

per non avere paura

per non sentire dolore.

Io non ne posso la vita…

 

Panni da lavare

 

E lasciatelo dire Daniela

che, in fondo, a trent’anni,

non è poi così anormale.

Non è tornare indietro nel tempo

non è fantasia

ma uno spazio tuo vitale

e che fra tutti i cieli importanti

il cielo più bello

sta nel tuo particolare

che viversi da soli una sera

frugarsi, una sera

è parlarsi, dialogare,

sapersi dare.

Beau l’amour avec moi…

E non venirmi a dire , Daniela ,

ti prego, Daniela

che mi sto lasciando andare

e che non sono cose da dire

che è stupido in fondo

e persino un po’ volgare

Il fatto che da tempo Daniela

da tempo, la sera,

non sappiamo più giocare.

Il fatto è che da tempo, Daniela,

da tempo, la sera,

non riusciamo a farci male.

Beau l’amour avec moi…

E non venirmi a dire, Daniela,

che al limite, in fondo,

ci si può solo scherzare

e che non vuoi sentirne parlare

di questi miei sporchi

sporchi panni da lavare.

Il fatto è

che da tempo, Daniela,

facciamo l’amore

come un quadro da copiare

per poi gratificarci in silenzio

contenti di come

come ci sappiamo fare.

Beau l’amour avec moi…

Malato! Io malato!

Ma pensala come ti pare.

Malato! Io malato!

Ma certo

però sono contento.

Sono contento e non mi succedeva

Da tempo.

Da tempo, da troppo tempo.

 

 

Plancton

 

Sballottato, disperato,

la corrente lo ha portato

in un mare senza luce

dentro il buio più completo

dentro il nulla più assoluto.

Quella forza che conduce

perché lui non è che plancton

microrganica materia

che non può , né sa capire

che quei rantoli dell’onda

come musica solenne

lo accompagnano a morire.

Finché arriva la Befana

che da un senso a quella pena.

Finché arriva la Befana

che lo inghiotte e se ne va.

E così la massa inerte

vive solo nella morte

che identifica il suo ruolo

e lo libera dal male

dallo squallido suo andare

da quel suo morire solo.

Ma quel ruolo oggi si è perso

in un mare di agonia

in quell’acqua più salata

e la tisi si distende

scatarrata dalla gola

di una civiltà malata

…e stasera la Befana

ha sputato la sua cena

e stasera la balena

cercherà dove morir.

Sballotati, disperati

la corrente ci ha portati

in un mare senza luce

dentro il buio più completo.

Dentro il buio più assoluto

quella forza ci conduce.

 

 

Rime ladre

 

Hai vissuto la tua infanzia profumata

tra filari di sorrisi e di carezze

imbottito di certezze e miti assurdi

predisposto a sogni facili e ingordi;

germe classico di dubbi e di paure

quelle stesse tue di quando, sii sincero,

credevi nell’uomo nero.

Fianchi morbidi e culetti impertinenti

hanno acceso la tua imberbe fantasia

e le prime ed insolenti tue erezioni

le hai sprecate tra le pieghe dei calzoni

promettendoti che un giorno libertino

non l’avresti più gettato dentro al cesso

l’orgoglio del tuo sesso.

Ma è bastato il primo caldo vaginale

consumato in quel suo magico rituale

perché tu, credendo fosse stato il cuore,

parlassi già d’amore.

Corri, corri coniglietto birichino

che la notte ti ha portato un bel bambino!

Sarà grasso, con gli occhiali, sarà bruno

sarà timido e incerto e in primo luogo

coi tuoi occhi gli farai vedere il mondo.

Sarà scialbo e delicato come un giglio.

Sarà proprio tuo figlio.

Corri, corri disperato burattino

riempi in fretta di marmocchi il tuo teatrino.

La famiglia romperà le tue paure

sarà certo il tuo trofeo, il tuo materasso,

ma sta attento perché c’è chi ha già capito

che aver gli occhi, la tua bocca ed il tuo naso

è stato solo un caso.

Non mi dire che sei stanco, sei distrutto,

che alla vita in fondo hai sempre dato tutto.

La paura di star solo, mio soldato,

da sempre ti ha fregato.

Stai tranquillo, non ti devi preoccupare,

per il bene maledetto che ti voglio,

per la sorte un po’ vigliacca che ci unisce

per quest’ansia che da sempre ci appartiene

a nessuno svelerà questo segreto.

Solo a queste rime troppo ladre

dirò che sei mio padre.

 

Una serata in rima

 

La nostra prima volta

è stata tragica.

Me lo ricordo bene,

era domenica.

In quella mia 600 prenuragica

Una serata in rima

quasi magica.

L’avevamo già fatto

con la fantasia

programmato carezze

abbracci teneri

magari con un fondo di malinconia

roba da canzonette

roba da hit parade.

Diglielo tu Maria

come si butta via

il più bel sogno inedito

della tua fantasia.

Diglielo tu Maria

che non si fa poesia

e che i momenti magici

son tutti una bugia.

Liberaci dal male

liberiamoci

è il momento dei ruoli

analizziamoci.

Non mettiamoci fretta

rilassiamoci

guardiamoci un momento

accarezziamoci.

Ma quando mi dicesti

"Non ancora, dai

aspetta un po’ ti prego"

io pensai

a questo punto Rosa

avrebbe detto si

tra gemiti e lamenti

avrebbe detto si.

Diglielo tu Maria…

Il primo della classe

sale in cattedra

dicesti " Mi fa male"

dissi "E’ logico".

Volevo pure dirti

"Poi ti piacerà"

ma questo per fortuna

te lo risparmiai.

Bistecche, giornaletti

l’università

mi hanno reso la vita

un po’ facile.

Il sangue ce l’ho buono

cosa vuoi di più

Lei nonostante tutto mi sorriderà.

Diglielo tu, Maria…

 

Vedette

 

Questo sabato è un ingorgo

di ricordi un po’ sfumati

di rimpianti ingigantiti

di barocche fantasie

che da artista provinciale

mi diverto a colorare

col retorico banale

della mia malinconia

dove tu sei la vedette.

E mi va di violentare

un ricordo che non serve

come un canto di Natale

con gli accenti un po’ spostati

che ti facciano sembrare

come non lo sei mai stata

come in fondo ti volevo

come maggio suggerisce

che lo voglia oppure no.

"Fa più piano" tu mi dici

"che così rovini tutto.

Fa più piano, grande uomo

che l’amore è anche cervello

e poi lasciati un po’ andare

non è il caso di strafare…

Fa più piano, amore mio.

Siamo in due

ci sono anch’io

Non pensare solo a te.".

Vieni, siediti vicino

ne vogliamo un po’ parlare

questa angoscia esistenziale

che fa tanto intellettuale

Scusa caro l’ironia

io ti posso anche capire

ma non devi mai scordare,

se qualcosa può contare,

che son qui vicino a te.".

E così diventi grande

come non lo sei mai stata

"Grand Hotel" più non ti piace

ora leggi Bertold Brecht.

Non finisci di supire

più non credi alle canzoni

non consumi più gli amori

come fossero ciliegie

e ti stringi forte a me.

Non l’avrei dovuto fare

ricordarti in questo modo

come non lo sei mai stata

come in fondo ti volevo.

Non l’avrei dovuto fare

ma mi devi anche capire

e non prendertela tanto

la volevi adesso è pronta

la canzone pia per te

la canzone mia per te.

 

Abbardente 1985

 

 

Mere manna

 

 

Mere manna, mere mea

ite nobas cust’annu?

Pro piachere a ti lu leas

custu sonnu prenu ’e affannu?

Mere manna, mere mea

imbriacalu custu mundu

chi nde falet abbardente

e una chida a ballu tundu

ballet tootu custa zente.

Imbriacalu custu mundu.

Rundinedda , rundinedda

naramilu s’in beranu

as a benner dae innedda

a imbentare su manzanu.

Mere manna, mere mea

fala commo dae su chelu

gai ti facies un’idea

si su mundu est maccu abberu.

Mere manna, mere mea.

Noi sichimus a sonare

chin su sambene cuntentu:

no lu lesses imbozzare,

mere mea, custu mamentu.

Nois sichimus a sonare.

Rundinedda, rundinedda…

 

Traduzione

Grande padrona, padrona mia, che novità quest’anno? Per favore portati via questo sonno pieno d’angoscia. Ubriacalo questo mondo, fa che scenda (dal cielo) acquavite e che tutta questa gente balli il ballo tondo per un’intera settimana.

Piccola rondine, dimmelo se a primavera verrai da lontano a inventare il mattino.

Grande padrona, padrona mia, scendi adesso dal cielo , così ti renderai conto se il mondo è veramente pazzo.

Noi continuiamo a suonare col sangue contento; non lasciarlo invecchiare , o mia padrona, questo momento. Noi continuiamo a suonare

 

 

Funtanafrisca 1987

 

Domos de preda

(P.Pillona- Piero Marras)

 

Sos ojos de Frantzisca

maduros e lughentes

sun che funtana frisca

in sas dies caentes.

Zosepe diat cherrere

torrare a pitzinnia

su petu a oferrer

a bentos e traschia.

Brincat sa ballerina

cun sos pes in s’aera

che una calabrina

a su ’entu libera.

Ballat cun Frantzischedda

tiu Zosepe Ispanta:

issa est una pisedda

e issu in sos ottanta.

Sa luna cun ojos de prata

aundat sas domos de preda

Atzara , calamida

de totu sos pintores,

tra sas biddas nodida

pro dechidos fiores.

Atzara, sorre bella

de sos malassortados

lucida che istella

in chelos annuados.

Sa luna chin ojos de prata

aundat sas domos de pedra.

 

Traduzione.

Gli occhi di Francesca (sono) grandi e luminosi come acqua fresca di fonte nelle giornate calde. Giuseppe vorrebbe tornare giovane per offrire il petto ai venti e alla tempesta. La ballerina salta con i piedi in aria, come una puledra leggera al vento. Balla con Franceschina, zio Giuseppe Ispanta.

Lei è una giovinetta, lui sull’ottantina.

La luna con gli occhi d’argento inonda le case di pietra.

Atzara, attrazione di tutti i pittori, distinta, fra i paesi, per i fiori stupendi.

Atzara, bella sorella dei diseredati, lucente come una stella in cieli coperti.

La luna con gli occhi d’argento inonda le case di pietra.

 

Osposidda

(P.Pillonca- Piero Marras)

 

Allumadas de fogu

chimbe carenas fritas:

tintu a ruju an su logu

in oras malaitas.

Ballas graes at rutu

in sas frunzas d’armidda.

Chie bos faghet lutu

mortos de Osposidda?

A sa tzega sas armas

fiores an brujadu:

sun negadas sas parmas

a su malefadadu.

S’istudat in su putu

un’urtima ischintidda:

chie bos fachet lutu

mortos de Osposidda?

Sonende bos passizan

finas in s’istradone:

omines assimizan

a peddes de sirbone.

Sa pietade at sutu

ranchida sa mamidda :

chie bos fachet lutu

mortos de Osposidda?

Ti essit dae su coro

su sambene caente :

mancu medaglia ’e oro

tana dadu, Pitzente.

Pianghene a sucutu

pitzinnos e pobidda:

chie bos faghet lutu

mortos de Osposidda?

Cantu tempus ancora

b’at a cherrer, o frade,

pro chi nd’essamus fora

de sa barbaridade

e no canten su mutu

sas feminas de idda ?

Chie bos fachet lutu

mortos de Osposidda ?

 

Traduzione.

Balenii di fuoco. Cinque corpi freddi han tinto la terra di rosso in ore maledette. Pallottole pesanti son cadute sui ramoscelli di timo. Chi vi piangerà morti di Osposidda?

Alla cieca le armi han bruciato i fiori. Si spegne nel pozzo un’ultima scintilla. Chi vi piangerà morti di Osposidda?

Al suono di clacson vi esibiscono per la strada. Assimilano uomini a pelli di cinghiale. La pietà ha succhiato un seno amaro. Chi vi piangerà morti di Osposidda?

Ti esce dal cuore il sangue caldo, ma nemmeno la medaglia d’oro ti han dato, Vincenzo. Piangono singhiozzando i bambini e la moglie.

Chi vi piangerà, morti di Osposidda?

Quanto tempo ancora ci vorrà, fratello, per uscire dalla barbarie e perché le donne del paese non cantino lamenti funebri?

Chi vi piangerà , morti di Osposidda?

 

Tumbu 1995

 

Bae luna (Cantones de pache e d’amore)

(F. Satta- P.Marras)

 

Ascolta un estratto in MP3

 

Istanotte bid’hapo in su sonnu

su chelu luchente

de bramas d’affettu comente

sa luche ’e su coro.

Bid’hapo pizzinnos

jocande in guruttos

e in pratas de sole.

E a zaja in sa janna

a murmuttu, filande

iscarpittas de lana.

E a mama , galana, cosinde

corittos chin filos de brama.

Bid’hapo pasteras, funtanas,

puzones a pore

in ramos de mendula in frore;

e isposas cantande in su ribu.

Bae luna

allughemi sa bida.

Bae luna

allughemi su coro.

Diat esser bellu luna

inoche a morrer goi.

Bid’hapo bezzeddos

in foras, contande

de cando, pizzinnos a zarra,

andaban a mura

in fattu ’e sos rubos

paschende in campuras

cabaddos e zubos

e sonnios de gloria.

Bid’hapo-l’ammento a memoria-

su mundu pizzinnu, serenu,

tranchillu.

Prenande sa brocca

de s’aba colada

bid’hapo cumpanzos corales

chi commo non sunu.

Bid’hapo

ghirande, a s’intrighinu, a babbu,

in artu, in su carru,

tra seghedes d’oro,

de brassamu tintu, sa cara

luchente ’e sudore, alligru e serenu,

cantande a murmuttu

cantones de pache e d’amore.

Bae luna…

Cori :

Mama nostra

de sos chelos

amparade nos in terra

commo e sempre goi.

 

Traduzione.

Vai luna ( Canzoni di pace e d’amore)

Stanotte ho visto nel sonno la luce del cielo carica di desiderio d’amore come la luce del cuore. Ho visto bambini giocare nei vicoli e nelle piazze ubriache di sole. E nonna, nell’uscio, filare, bisbigliando, scarpette di lana . Mia madre , bella, cucire corsetti con i fili del desiderio. Ho visto aiuole e fontane, uccelli a migliaia sui rami del mandorlo in fiore . E spose cantare sulle rive del fiume.

Vai luna, accendimi la vita. Vai luna, accendimi il cuore. Sarebbe bello, o luna, morire qui così. Ho visto vecchietti per strada raccontare di quando ragazzini andavano a raccogliere more sui rovi, pascendo nei campi cavalli e gioghi di buoi e sogni di gloria. Ho visto, lo ricordo bene, il mondo bambino, felice, sereno. Riempendo la brocca dell’acqua di ieri , ho visto compagni fraterni che adesso non ci sono più. Ho visto mio padre tornare al tramonto, in alto, sul carro, tra messi dorate, col viso cosparso di balsamo, splendente di sudore, allegro e sereno, cantando sottovoce canzoni di pace e d’amore.

Vai luna…

 

Sa oghe ’e Maria

(P. Marras-Pillonca-P. Marras)

 

Sa luna istanotte

in chelos d’anneu

sa mala fortuna

est contras a Deus.

Sas fozas d’olia

no rezen su nie :

est una traschia

de die pro die.

Sa ’oghe ’e Maria

est una ninnia.

Su ninnidu lentu

ammajos d’ammentu.

Olvidat s’anneu

su populu meu.

S’ammentu sic’andat

che abba in su riu

sa vida nos colat

che raju in s’istiu.

Sucutos de lughe

in s’oru e una nue

su sole che jughe

in chelu totue.

Se ’oghe ’e Maria…

 

Traduzione.

La luna stanotte in cieli di sofferenza: il male è sempre contro la volontà di Dio.

Le foglie d’ulivo non resistono alla neve : è una tempesta, giorno dopo giorno.

La voce di Maria è un canto di culla: la melodia lenta, magia dei ricordi.

Il mio popolo dimentica il dolore. Il ricordo se ne va, come acqua nel fiume, la vita ci sfugge come un lampo d’estate. Singhiozzi di luce vicino a una nuvola : porta il sole dovunque nel cielo.

 

 

 

 

Fuori Campo 1997

 

 

Si Deus cheret

 

Da questa nuvola

Si vedono volare gli elicotteri

che stan giocando a far la guerra

in mezzo ai fenicotteri.

Le truppe italiche

mandate come antidoto al benessere

hanno già nostalgia di casa

e brufoli da crescere.

Ma per fortuna anche stanotte

la notte passerà

e finché il mare non ci inghiotte

noi resteremo qua

si Deus cheret

e sos carabineris lu permittini.

Da questa nuvola

si vede che c’è un’isola possibile

ma perché questo non accada

c’è chi fa l’impossibile.

E se ti affacci un po’

tu puoi vedere crescere anche gli alberi

e tra il corbezzolo ed il mirto

fiorir le supercarceri.

Ma per fortuna anche stanotte

la notte passerà

e finché il mare non ci inghiotte

noi resteremo qua

si Deus cheret

e sos carabineris lu pemittini.

Da questa nuvola

si vedono i complessi megalitici

ma qui perfino la preistoria

è appalto degli italici

e a guardar bene giù

fra coste smeraldino cementifere

non è superfluo domandare

dov’è finito il mare.

Ma per fortuna anche stanotte

la notte passerà

e finché il mare non ci inghiotte

noi resteremo qua

si Deus cheret

e sos carabinieri lu permittini…

Noi sardopatici

viviamo di entusiasmi poco aritmici

crediamo ancora esista al mondo

un dio degli specifici.

Chiediamo scusa se

a volte risultiamo un po’ nostalgici

ma abbiamo un sogno nel profondo

e cuori prenuragici

e per fortuna anche stanotte

la notte passerà

e finché il mare non ci inghiotte

noi resteremo qua

si Deus cheret

e sos carabineris lu pemittini.