Alcuni dei testi più belli di Piero Marras
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Marras
Fuori campo 1977
Fuori campo
L’hai trovata Marcellina la tua verità?
L’hai scoperto sorellina quello che ti va?
Li hai bruciati i tuoi capelli, gli abitini blu?
Le tue gambe e gli anelli li hai buttati giù?
Voglio proprio confessarti
che mi è sempre un po’ piaciuto
farti piangere la sera
e poi correre e abbracciarti.
Voglio dirti, e te lo giuro,
che non mi è servito a niente
saper fare, stando in piedi, la pipì sul muro.
Hey hey hey gente
come va laggiù?
Qui la vita non si sente
non ritornerò mai più.
Buonanotte Garibaldi
smetti di abbaiare
neanche a venderti per soldi
ti si può smerciare.
La tua razza un po’ marziana
ti difenderà
dall’amore di una befana,
dalla sua bontà.
Se tu fossi un po’ cristiano
non mi aspetteresti ancora
capiresti in fondo
che il padrone tuo è un ruffiano.
Se tu fossi meno cane
non mi avresti perdonato
di averti educato come un buon soldato.
Hey hey hey gente…
Caro amico per le palle
dimmi cosa fai
speri ancora in qualche stella, ù
quella che non hai?
L’hai trovata quella cosa
che cercavi tu?
Quel tuo sogno un po’ italiano
sotto i cieli blu?
Fermo lì non ti incazzare
non si può neanche scherzare…
Vecchio di un mandriano
ti sei messo a far l’indiano
corri a fare la tua guerra
faccia in alto e culo in terra
a tirare sassi al cielo.
Ma che bel guerriero!
Chissà se fuori
Stasera non si affitta,
niente idee,
la mente slitta
verso i soliti nevrotici perché
e l’ansia che ritorna lì
cercando fra le corde, lì,
un lirico risvolto a tutti i se.
Ma i segni di un’assenza
già drammatica presenza
sono qui, li so sentire,
son la sola ristagnante verità.
E il suono di un accordo
un po’ monotono, un po’ sordo,
più non riesce a farmi male
più non stuzzica la mia vitalità.
Chissà se fuori c’è ancora una città.
Attento al tuo castello, sai,
non serve che sia bello
basta un attimo per farlo andare giù
quell’attimo ha una storia,
è una costante ormai notoria,
che rivela la tua scarsa identità.
E il merito è di un cielo
di una sera un po’ malata
di una voglia malandata
di un capello che agonizza e cade giù.
E allora questa stanza
l’arroganza delle cose
le speranze ormai corrose
sembra tramino per far complicità.
Chissà se fuori c’è ancora una città.
Buongiorno dolce fata
come mai ti sei svegliata
sembri uscita da un infausto telefilm.
Ti serve un buon cristiano
dal sorriso americano
come dire "su di me ci puoi contar".
Ti canto una canzone.
Vuoi la più sentimentale?
Vuoi quell’altra un po’ banale?
Oppure quella che ti aiuta a riposar?
Oppure vuoi sentire
questa voce mia nitrire?
Vuoi che faccia la gallina?
Vuoi che invecchi, dimmi cosa ti va.
Chissà se fuori c’è ancora una città…
Il figlio del re
Dimmi cosa mi hai portato
padre mio.
Dimmi cosa mi hai portato.
"Ti ho portato
un sacco pieno di esperienza
perché guidi la tua vita.
L’esperienza saprà far di te
il più potente re.".
Non la voglio,
non mi serve l’esperienza,
puoi gettarla in fondo al mare.
L’esperienza che mi porti
è un brutto libro
tutto da dimenticare..
Dimmi cosa mi hai portato
madre mia.
Dimmi, cosa mi hai portato.
"Ti ho portato
un cesto carico d’affetto
che riempia la tua vita.
Il mio affetto, lo sai,
mai lasciarti saprà, mio re.
"Non lo voglio,
non mi serve questo affetto.
Puoi gettarlo in fondo al mare.
Quest’affetto che mi porti
è la mia croce,
la mia angoscia naturale.".
Dimmi cosa mi hai portato
mio giullare.
Dimmi, cosa mi hai portato.
"Ti ho portato
un sacco pieno di allegria
che rallegri la tua vita.
L’allegri scaccerà
la tristezza che hai, mio re.".
Non la voglio,
non mi serve l’allegria.
Puoi gettarla in fondo al mare.
L’allegria che tu mi porti
è solo un trucco
perché possa non pensare.
Dimmi cosa mi hai portato,
vecchio servo.
Dimmi, cosa mi hai portato.
"Ti ho portato
la miseria della gente.
Ti ho portato il suo dolore.
Ti ho portato
la gran rabbia della gente.
Ti ho portato il suo tormento.
Ti ho portato
pure un lembo di speranza.
Ti ho portato un filo d’erba.
Ecco, adesso se vuoi,
tu frustarmi potrai, mio re.".
Prenderò la tua miseria,
vecchio servo.
Ne farò la mia esperienza.
Prenderla tua gran rabbia,
vecchio servo.
Ne farò il mio solo affetto.
Prenderò la tua speranza,
vecchio servo.
Ne farò la mia allegria.
La rabbia di ieri
Ti sei messo il vestito di ieri
per riprendere i vecchi sentieri
per scrollarti la rabbia di dosso
per uscire un momento dal fosso.
Dove andrai questa sera?, rispondi
Che farai questa sera?, rispondi.
Io farò come fanno gli uccelli
volerò verso i posti più belli.
Canterò fino a tardi ogni sera
cercherò anch’io la mia primavera.
Dio, che artista!, che artista!
si vede
lui compone, lui canta…
Ci crede!
Si, ci sai proprio fare
continua a cantare
raccontaci ancora di te.
Ma la rabbia di ieri, dov’è?
Quella rabbia di ieri , dov’è?
E girarsi di scatto a guardare
per sorprendere il mondo a barare.
Ma le cose si tengono al suolo
e nessuno tradisce il suo ruolo
E la madre fa bene la madre
con la sua tenerezza ti uccide.
E l’amico fa bene l’amico
lui più serio, più calmo, gentile.
E anche tu che mi abbracci ogni sera
anche tu sembri tanto sincera.
Dio che artista, che artista!
Si vede!
Lui ti centra, ti scava,
non cede.
Si, non sei troppo finito
qualcuno l’hai convinto
continua a parlarci di te.
Ma la rabbia di ieri, dov’è?
Quella rabbia di ieri dov’è?
Notte lituana
C’era una volta la luna
con un codazzo di stelle
addormentata sul mare.
E’ una gran bella fortuna
in questa notte lituana
poterla ancora guardare.
C’erano sogni di neve
e filastrocche di sole
da sussurrare nel vento
e i figli grandi dei figli
con quella solita faccia
da militante contento.
Io non ne posso la vita
di questo nostro andare
di questa guerra infinita
dei morti da ammazzare.
Io non ne posso la vita
di questo camminare
di questa terra smagrita
dove si ubriaca il mare.
Mamma dovresti vedere
come son bello stasera
sembro davvero un soldato.
Ho la nevrosi al sedere
lo sguardo dentro un bicchiere
e sono tutto sudato.
Amore amore bambino
meglio di un fiasco di vino
ti porto ancora nel cuore.
Mi ci vorrebbe un bacino
per non avere paura
per non sentire dolore.
Io non ne posso la vita…
Panni da lavare
E lasciatelo dire Daniela
che, in fondo, a trent’anni,
non è poi così anormale.
Non è tornare indietro nel tempo
non è fantasia
ma uno spazio tuo vitale
e che fra tutti i cieli importanti
il cielo più bello
sta nel tuo particolare
che viversi da soli una sera
frugarsi, una sera
è parlarsi, dialogare,
sapersi dare.
Beau l’amour avec moi…
E non venirmi a dire , Daniela ,
ti prego, Daniela
che mi sto lasciando andare
e che non sono cose da dire
che è stupido in fondo
e persino un po’ volgare
Il fatto che da tempo Daniela
da tempo, la sera,
non sappiamo più giocare.
Il fatto è che da tempo, Daniela,
da tempo, la sera,
non riusciamo a farci male.
Beau l’amour avec moi…
E non venirmi a dire, Daniela,
che al limite, in fondo,
ci si può solo scherzare
e che non vuoi sentirne parlare
di questi miei sporchi
sporchi panni da lavare.
Il fatto è
che da tempo, Daniela,
facciamo l’amore
come un quadro da copiare
per poi gratificarci in silenzio
contenti di come
come ci sappiamo fare.
Beau l’amour avec moi…
Malato! Io malato!
Ma pensala come ti pare.
Malato! Io malato!
Ma certo
però sono contento.
Sono contento e non mi succedeva
Da tempo.
Da tempo, da troppo tempo.
Plancton
Sballottato, disperato,
la corrente lo ha portato
in un mare senza luce
dentro il buio più completo
dentro il nulla più assoluto.
Quella forza che conduce
perché lui non è che plancton
microrganica materia
che non può , né sa capire
che quei rantoli dell’onda
come musica solenne
lo accompagnano a morire.
Finché arriva la Befana
che da un senso a quella pena.
Finché arriva la Befana
che lo inghiotte e se ne va.
E così la massa inerte
vive solo nella morte
che identifica il suo ruolo
e lo libera dal male
dallo squallido suo andare
da quel suo morire solo.
Ma quel ruolo oggi si è perso
in un mare di agonia
in quell’acqua più salata
e la tisi si distende
scatarrata dalla gola
di una civiltà malata
…e stasera la Befana
ha sputato la sua cena
e stasera la balena
cercherà dove morir.
Sballotati, disperati
la corrente ci ha portati
in un mare senza luce
dentro il buio più completo.
Dentro il buio più assoluto
quella forza ci conduce.
Rime ladre
Hai vissuto la tua infanzia profumata
tra filari di sorrisi e di carezze
imbottito di certezze e miti assurdi
predisposto a sogni facili e ingordi;
germe classico di dubbi e di paure
quelle stesse tue di quando, sii sincero,
credevi nell’uomo nero.
Fianchi morbidi e culetti impertinenti
hanno acceso la tua imberbe fantasia
e le prime ed insolenti tue erezioni
le hai sprecate tra le pieghe dei calzoni
promettendoti che un giorno libertino
non l’avresti più gettato dentro al cesso
l’orgoglio del tuo sesso.
Ma è bastato il primo caldo vaginale
consumato in quel suo magico rituale
perché tu, credendo fosse stato il cuore,
parlassi già d’amore.
Corri, corri coniglietto birichino
che la notte ti ha portato un bel bambino!
Sarà grasso, con gli occhiali, sarà bruno
sarà timido e incerto e in primo luogo
coi tuoi occhi gli farai vedere il mondo.
Sarà scialbo e delicato come un giglio.
Sarà proprio tuo figlio.
Corri, corri disperato burattino
riempi in fretta di marmocchi il tuo teatrino.
La famiglia romperà le tue paure
sarà certo il tuo trofeo, il tuo materasso,
ma sta attento perché c’è chi ha già capito
che aver gli occhi, la tua bocca ed il tuo naso
è stato solo un caso.
Non mi dire che sei stanco, sei distrutto,
che alla vita in fondo hai sempre dato tutto.
La paura di star solo, mio soldato,
da sempre ti ha fregato.
Stai tranquillo, non ti devi preoccupare,
per il bene maledetto che ti voglio,
per la sorte un po’ vigliacca che ci unisce
per quest’ansia che da sempre ci appartiene
a nessuno svelerà questo segreto.
Solo a queste rime troppo ladre
dirò che sei mio padre.
Una serata in rima
La nostra prima volta
è stata tragica.
Me lo ricordo bene,
era domenica.
In quella mia 600 prenuragica
Una serata in rima
quasi magica.
L’avevamo già fatto
con la fantasia
programmato carezze
abbracci teneri
magari con un fondo di malinconia
roba da canzonette
roba da hit parade.
Diglielo tu Maria
come si butta via
il più bel sogno inedito
della tua fantasia.
Diglielo tu Maria
che non si fa poesia
e che i momenti magici
son tutti una bugia.
Liberaci dal male
liberiamoci
è il momento dei ruoli
analizziamoci.
Non mettiamoci fretta
rilassiamoci
guardiamoci un momento
accarezziamoci.
Ma quando mi dicesti
"Non ancora, dai
aspetta un po’ ti prego"
io pensai
a questo punto Rosa
avrebbe detto si
tra gemiti e lamenti
avrebbe detto si.
Diglielo tu Maria…
Il primo della classe
sale in cattedra
dicesti " Mi fa male"
dissi "E’ logico".
Volevo pure dirti
"Poi ti piacerà"
ma questo per fortuna
te lo risparmiai.
Bistecche, giornaletti
l’università
mi hanno reso la vita
un po’ facile.
Il sangue ce l’ho buono
cosa vuoi di più
Lei nonostante tutto mi sorriderà.
Diglielo tu, Maria…
Vedette
Questo sabato è un ingorgo
di ricordi un po’ sfumati
di rimpianti ingigantiti
di barocche fantasie
che da artista provinciale
mi diverto a colorare
col retorico banale
della mia malinconia
dove tu sei la vedette.
E mi va di violentare
un ricordo che non serve
come un canto di Natale
con gli accenti un po’ spostati
che ti facciano sembrare
come non lo sei mai stata
come in fondo ti volevo
come maggio suggerisce
che lo voglia oppure no.
"Fa più piano" tu mi dici
"che così rovini tutto.
Fa più piano, grande uomo
che l’amore è anche cervello
e poi lasciati un po’ andare
non è il caso di strafare…
Fa più piano, amore mio.
Siamo in due
ci sono anch’io
Non pensare solo a te.".
Vieni, siediti vicino
ne vogliamo un po’ parlare
questa angoscia esistenziale
che fa tanto intellettuale
Scusa caro l’ironia
io ti posso anche capire
ma non devi mai scordare,
se qualcosa può contare,
che son qui vicino a te.".
E così diventi grande
come non lo sei mai stata
"Grand Hotel" più non ti piace
ora leggi Bertold Brecht.
Non finisci di supire
più non credi alle canzoni
non consumi più gli amori
come fossero ciliegie
e ti stringi forte a me.
Non l’avrei dovuto fare
ricordarti in questo modo
come non lo sei mai stata
come in fondo ti volevo.
Non l’avrei dovuto fare
ma mi devi anche capire
e non prendertela tanto
la volevi adesso è pronta
la canzone pia per te
la canzone mia per te.
Abbardente 1985
Mere manna
Mere manna, mere mea
ite nobas cust’annu?
Pro piachere a ti lu leas
custu sonnu prenu ’e affannu?
Mere manna, mere mea
imbriacalu custu mundu
chi nde falet abbardente
e una chida a ballu tundu
ballet tootu custa zente.
Imbriacalu custu mundu.
Rundinedda , rundinedda
naramilu s’in beranu
as a benner dae innedda
a imbentare su manzanu.
Mere manna, mere mea
fala commo dae su chelu
gai ti facies un’idea
si su mundu est maccu abberu.
Mere manna, mere mea.
Noi sichimus a sonare
chin su sambene cuntentu:
no lu lesses imbozzare,
mere mea, custu mamentu.
Nois sichimus a sonare.
Rundinedda, rundinedda…
Traduzione
Grande padrona, padrona mia, che novità quest’anno? Per favore portati via questo sonno pieno d’angoscia. Ubriacalo questo mondo, fa che scenda (dal cielo) acquavite e che tutta questa gente balli il ballo tondo per un’intera settimana.
Piccola rondine, dimmelo se a primavera verrai da lontano a inventare il mattino.
Grande padrona, padrona mia, scendi adesso dal cielo , così ti renderai conto se il mondo è veramente pazzo.
Noi continuiamo a suonare col sangue contento; non lasciarlo invecchiare , o mia padrona, questo momento. Noi continuiamo a suonare
Funtanafrisca 1987
Domos de preda
(P.Pillona- Piero Marras)
Sos ojos de Frantzisca
maduros e lughentes
sun che funtana frisca
in sas dies caentes.
Zosepe diat cherrere
torrare a pitzinnia
su petu a oferrer
a bentos e traschia.
Brincat sa ballerina
cun sos pes in s’aera
che una calabrina
a su ’entu libera.
Ballat cun Frantzischedda
tiu Zosepe Ispanta:
issa est una pisedda
e issu in sos ottanta.
Sa luna cun ojos de prata
aundat sas domos de preda
Atzara , calamida
de totu sos pintores,
tra sas biddas nodida
pro dechidos fiores.
Atzara, sorre bella
de sos malassortados
lucida che istella
in chelos annuados.
Sa luna chin ojos de prata
aundat sas domos de pedra.
Traduzione.
Gli occhi di Francesca (sono) grandi e luminosi come acqua fresca di fonte nelle giornate calde. Giuseppe vorrebbe tornare giovane per offrire il petto ai venti e alla tempesta. La ballerina salta con i piedi in aria, come una puledra leggera al vento. Balla con Franceschina, zio Giuseppe Ispanta.
Lei è una giovinetta, lui sull’ottantina.
La luna con gli occhi d’argento inonda le case di pietra.
Atzara, attrazione di tutti i pittori, distinta, fra i paesi, per i fiori stupendi.
Atzara, bella sorella dei diseredati, lucente come una stella in cieli coperti.
La luna con gli occhi d’argento inonda le case di pietra.
Osposidda
(P.Pillonca- Piero Marras)
Allumadas de fogu
chimbe carenas fritas:
tintu a ruju an su logu
in oras malaitas.
Ballas graes at rutu
in sas frunzas d’armidda.
Chie bos faghet lutu
mortos de Osposidda?
A sa tzega sas armas
fiores an brujadu:
sun negadas sas parmas
a su malefadadu.
S’istudat in su putu
un’urtima ischintidda:
chie bos fachet lutu
mortos de Osposidda?
Sonende bos passizan
finas in s’istradone:
omines assimizan
a peddes de sirbone.
Sa pietade at sutu
ranchida sa mamidda :
chie bos fachet lutu
mortos de Osposidda?
Ti essit dae su coro
su sambene caente :
mancu medaglia ’e oro
tana dadu, Pitzente.
Pianghene a sucutu
pitzinnos e pobidda:
chie bos faghet lutu
mortos de Osposidda?
Cantu tempus ancora
b’at a cherrer, o frade,
pro chi nd’essamus fora
de sa barbaridade
e no canten su mutu
sas feminas de idda ?
Chie bos fachet lutu
mortos de Osposidda ?
Traduzione.
Balenii di fuoco. Cinque corpi freddi han tinto la terra di rosso in ore maledette. Pallottole pesanti son cadute sui ramoscelli di timo. Chi vi piangerà morti di Osposidda?
Alla cieca le armi han bruciato i fiori. Si spegne nel pozzo un’ultima scintilla. Chi vi piangerà morti di Osposidda?
Al suono di clacson vi esibiscono per la strada. Assimilano uomini a pelli di cinghiale. La pietà ha succhiato un seno amaro. Chi vi piangerà morti di Osposidda?
Ti esce dal cuore il sangue caldo, ma nemmeno la medaglia d’oro ti han dato, Vincenzo. Piangono singhiozzando i bambini e la moglie.
Chi vi piangerà, morti di Osposidda?
Quanto tempo ancora ci vorrà, fratello, per uscire dalla barbarie e perché le donne del paese non cantino lamenti funebri?
Chi vi piangerà , morti di Osposidda?
Tumbu 1995
Bae luna (Cantones de pache e d’amore)
(F. Satta- P.Marras)
Istanotte bid’hapo in su sonnu
su chelu luchente
de bramas d’affettu comente
sa luche ’e su coro.
Bid’hapo pizzinnos
jocande in guruttos
e in pratas de sole.
E a zaja in sa janna
a murmuttu, filande
iscarpittas de lana.
E a mama , galana, cosinde
corittos chin filos de brama.
Bid’hapo pasteras, funtanas,
puzones a pore
in ramos de mendula in frore;
e isposas cantande in su ribu.
Bae luna
allughemi sa bida.
Bae luna
allughemi su coro.
Diat esser bellu luna
inoche a morrer goi.
Bid’hapo bezzeddos
in foras, contande
de cando, pizzinnos a zarra,
andaban a mura
in fattu ’e sos rubos
paschende in campuras
cabaddos e zubos
e sonnios de gloria.
Bid’hapo-l’ammento a memoria-
su mundu pizzinnu, serenu,
tranchillu.
Prenande sa brocca
de s’aba colada
bid’hapo cumpanzos corales
chi commo non sunu.
Bid’hapo
ghirande, a s’intrighinu, a babbu,
in artu, in su carru,
tra seghedes d’oro,
de brassamu tintu, sa cara
luchente ’e sudore, alligru e serenu,
cantande a murmuttu
cantones de pache e d’amore.
Bae luna…
Cori :
Mama nostra
de sos chelos
amparade nos in terra
commo e sempre goi.
Traduzione.
Vai luna ( Canzoni di pace e d’amore)
Stanotte ho visto nel sonno la luce del cielo carica di desiderio d’amore come la luce del cuore. Ho visto bambini giocare nei vicoli e nelle piazze ubriache di sole. E nonna, nell’uscio, filare, bisbigliando, scarpette di lana . Mia madre , bella, cucire corsetti con i fili del desiderio. Ho visto aiuole e fontane, uccelli a migliaia sui rami del mandorlo in fiore . E spose cantare sulle rive del fiume.
Vai luna, accendimi la vita. Vai luna, accendimi il cuore. Sarebbe bello, o luna, morire qui così. Ho visto vecchietti per strada raccontare di quando ragazzini andavano a raccogliere more sui rovi, pascendo nei campi cavalli e gioghi di buoi e sogni di gloria. Ho visto, lo ricordo bene, il mondo bambino, felice, sereno. Riempendo la brocca dell’acqua di ieri , ho visto compagni fraterni che adesso non ci sono più. Ho visto mio padre tornare al tramonto, in alto, sul carro, tra messi dorate, col viso cosparso di balsamo, splendente di sudore, allegro e sereno, cantando sottovoce canzoni di pace e d’amore.
Vai luna…
Sa oghe ’e Maria
(P. Marras-Pillonca-P. Marras)
Sa luna istanotte
in chelos d’anneu
sa mala fortuna
est contras a Deus.
Sas fozas d’olia
no rezen su nie :
est una traschia
de die pro die.
Sa ’oghe ’e Maria
est una ninnia.
Su ninnidu lentu
ammajos d’ammentu.
Olvidat s’anneu
su populu meu.
S’ammentu sic’andat
che abba in su riu
sa vida nos colat
che raju in s’istiu.
Sucutos de lughe
in s’oru e una nue
su sole che jughe
in chelu totue.
Se ’oghe ’e Maria…
Traduzione.
La luna stanotte in cieli di sofferenza: il male è sempre contro la volontà di Dio.
Le foglie d’ulivo non resistono alla neve : è una tempesta, giorno dopo giorno.
La voce di Maria è un canto di culla: la melodia lenta, magia dei ricordi.
Il mio popolo dimentica il dolore. Il ricordo se ne va, come acqua nel fiume, la vita ci sfugge come un lampo d’estate. Singhiozzi di luce vicino a una nuvola : porta il sole dovunque nel cielo.
Fuori Campo 1997
Si Deus cheret
Da questa nuvola
Si vedono volare gli elicotteri
che stan giocando a far la guerra
in mezzo ai fenicotteri.
Le truppe italiche
mandate come antidoto al benessere
hanno già nostalgia di casa
e brufoli da crescere.
Ma per fortuna anche stanotte
la notte passerà
e finché il mare non ci inghiotte
noi resteremo qua
si Deus cheret
e sos carabineris lu permittini.
Da questa nuvola
si vede che c’è un’isola possibile
ma perché questo non accada
c’è chi fa l’impossibile.
E se ti affacci un po’
tu puoi vedere crescere anche gli alberi
e tra il corbezzolo ed il mirto
fiorir le supercarceri.
Ma per fortuna anche stanotte
la notte passerà
e finché il mare non ci inghiotte
noi resteremo qua
si Deus cheret
e sos carabineris lu pemittini.
Da questa nuvola
si vedono i complessi megalitici
ma qui perfino la preistoria
è appalto degli italici
e a guardar bene giù
fra coste smeraldino cementifere
non è superfluo domandare
dov’è finito il mare.
Ma per fortuna anche stanotte
la notte passerà
e finché il mare non ci inghiotte
noi resteremo qua
si Deus cheret
e sos carabinieri lu permittini…
Noi sardopatici
viviamo di entusiasmi poco aritmici
crediamo ancora esista al mondo
un dio degli specifici.
Chiediamo scusa se
a volte risultiamo un po’ nostalgici
ma abbiamo un sogno nel profondo
e cuori prenuragici
e per fortuna anche stanotte
la notte passerà
e finché il mare non ci inghiotte
noi resteremo qua
si Deus cheret
e sos carabineris lu pemittini.