LETTERA APERTA A ORIANA FALLACI
di
Rosalba Satta Ceriale
Mi accingo a scrivere questa lettera aperta, a Lei indirizzata , pur sapendo con certezza che non la leggerà ,e non solo perché -come scrive a pag. 41 del suo libro "La rabbia e l’orgoglio"- nel suo tipo di vita "non c’è posto per i messaggeri di pochezza o di frivolezza" o perché coloro che non la pensano come lei "sono persone senza idee e senza qualità, frivole sanguisughe che per esibirsi s’attaccano all’ombra di chi sta al sole" (sic!), ma perché …Lei non c’è su questa terra.
Lei non abita al di là dell’oceano.
Lei ha volontariamente scelto di abitare, da sola, su una nuvoletta (che, chissà perché!, non riesco ad immaginare né azzurra, né rosa,
né ,tanto meno, bianca…) e dunque, al di là e al di sopra degli umani e dei grattacieli.
E da lì ( mi pare di vederla…), dopo circa 11 anni di silenzio, ha deciso di scagliare qualcosa di "intelligente", senza nemmeno preoccuparsi di prendere la mira…tanto ,laggiù, siamo tutti, come lei ama definirci, dei "minchioni", perciò…a-chi-tocca-tocca,il bersaglio si colpisce in ogni caso!
Insomma, proprio ieri 20 ottobre 2002, mi è caduto addosso, con la pesantezza di un macigno che odora di fiele, il suo ultimo libricino, con dentro non la sua rabbia,e tantomeno il suo orgoglio…ma il suo odio.
Un odio feroce che, mi creda, inizialmente mi ha lasciato di stucco, perché non pensavo che una persona- ed in particolare una signora come lei- potesse partorirlo, e poi, con la forza dell’acredine e del livore, buttarlo addosso agli altri . O meglio : a tutti. Perché i suoi problemi, signora Fallaci, nascono proprio da qui: lei ce l’ha col mondo intero. A parte il sindaco Giuliani – del quale Lei tesse le lodi- e Bobby, il bambino americano che non sa più come tornare a casa perché manca il punto di riferimento delle due torri, e il doganiere americano che la saluta con un "Welcome home" (sic!) che tanto la commuove ,e i nostri e i suoi antenati più o meno famosi, da Piero Maroncelli a Garibaldi ad Emilio Lussu, che,come lei, a suo dire, hanno vissuto la stessa condizione di esiliati… lei lancia sterco- e non è una metafora!- addosso al mondo intero.
A me ,che ho avuto la sventura di leggere il suo libro – "impostomi" da un amico, Giovanni, che conosceva il mio essere contro l’utilizzo della guerra per risolvere le controversie internazionali e che, perciò, sperava che con la lettura del suo libro imparassi a vedere "l’altra faccia della luna"!- sono arrivati alcuni schizzi di fiele (era fiele?!) e un gran tanfo e, nonostante tutto, o meglio, a ragion veduta, più di prima e con maggiore consapevolezza, continuo a percorrere il mio cammino… che è quello della solidarietà, del rispetto, della non-violenza, delle orecchie tese ad ascoltare i silenzi o le urla di pietra degli ultimi o di chi non ha voce. E’ un cammino faticoso il mio: a volte si inciampa, si arranca, si piange, si cade fino a fracassarsi il cuore; qualche volta si pensa perfino di sostare per un po’ e di stare alla finestra per riprendere fiato e forze. Ma di scegliere la nuvoletta, lassù, al di sopra degli uomini e dei grattacieli per poter "urinare" – uso il suo linguaggio-la mia parte peggiore o i miei sogni infranti…no, non l’ho mai pensato.
Ed è proprio perché non ho mai scelto di stare "fuori dal mondo", che ancor prima dell’11 settembre 2001, sentivo, e sento ancora, il "puzzo della morte"; quel puzzo che Lei, signora, scrive di aver sentito l’11 settembre: un puzzo tanto forte da costringerla ad infrangere il suo sacro silenzio, e ad uscire dalla casa-nuvoletta. Io sento e vedo, e sentivo e vedevo da tempo, anche altri grattacieli crollare…dove grattacieli non ce ne erano e non ce ne sono mai stati. Io sentivo da tempo, e sento!, i pianti senza lacrime e le sofferenze senza nome di chi non può nemmeno scegliere di andare "in esilio". Di chi non può scappare… non dalle delusioni o da una patria che detesta -come lei ha fatto - ma dalle bombe.
E di questa folla di diseredati- della quale, dato il numero, non sono mai riuscita a scorgere l’inizio e la fine- fanno parte le donne che lei definisce "così cretine da accettare il chador", "così scimunite da accettare di non andare a scuola", "così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli" (pag.90 del suo "stupendo" libricino!).E poi, in questa folla sconfinata - che come lei stupendamente scrive nel suo meraviglioso libricino, "alza il sedere 5 volte al giorno"per pregare il proprio dio- ci sono tanti, tanti, troppi bambini con una o zero gambe, con una,due o tre schegge nel loro corpicino, con niente cibo e niente medicine; bambini dei quali, nel suo libretto lei non parla mai, quasi non esistessero ; cita solo Bobby "il bambino newyorchese che crede nelle bontà ,nel coraggio".
Per quanto riguarda il "divino" – e non parlo di lei-da sempre mi trascino le mie umane incertezze. A volte Dio lo incontro, a volte lo perdo di vista.Ma lo cerco, sempre. E questo mio "andare e tornare" mi permette di guardare, con molta simpatia e rispetto, tutte le religioni. Tutte hanno qualcosa in comune, tutte hanno le loro "pagine" che grondano sangue, tutte hanno le loro meraviglie, i loro diluvi universali e i loro cieli immensi e tersi. Tutte ci danno la speranza di un incontro futuro con coloro che amammo più di noi stessi. Mai, perciò, userei il nome di Dio "invano", per dare più forza alla mia rabbia o alle mie esternazioni. E meno che meno lo farei, se fossi atea per rispetto nei confronti di chi crede.. Lei, signora - che ci presenta il suo ateismo come un vanto- scrive "Cristo!" e "perdio!" in continuazione, con lo stile che la contraddistingue, dalla prima all’ultima pagina del suo libro… per dare più forza alle sue cattiverie.
A pagina 71 , scrive: "Il fatto è che l’America è un paese speciale. Un paese da invidiare, di cui essere gelosi" "E sai perché? Perché è nata da un bisogno dell’anima". Le domando: si chiama "bisogno dell’anima" lo sterminio degli Atzechi, degli Incas, dei Maya, degli Indiani, la tratta dei neri, l’imposizione con la spada del proprio credo religioso?
Le cose da dire sarebbero tante…ed una lettera non può diventare un libro. Di certo so che anche se venisse a galla la mia parte peggiore, mai oserei definire, come lei fa con un’arroganza che spaventa, i giovani d’oggi dei "molluschi", degli ignoranti, dei drogati,"che sanno anche affollare i comizi d’un Papa che ha una gran nostalgia del potere temporale e sotto sotto lo esercita con grande abilità".
Ma se anche, per assurdo, lei avesse ragione, se la sua fosse la verità…non vorrei averla come amica o come compagna di viaggio. La sua compagnia mi farebbe dimenticare che cos’è il sorriso, lo stupore e la voglia di sognare.Forse, stando con lei ,diventerei come lei, chiuderei la porta a chiave e sfogherei la mia solitudine fatta di astio sui tasti di un computer o di una macchina da scrivere, facendo finta di partorire un "figlio"…che, essendo un libro, non correrebbe mai il rischio di saltare su una mina o di morire sotto un bombardamento o per la mancanza di un’aspirina.
Forse vivrei a lungo…ma nessuno se ne accorgerebbe. Nessuno.
Per questo Le scrivo, pur sapendo che la mia lettera aperta non la raggiungerà mai. Vorrei arrivare ai vari "Giovanni" che hanno letto il suo libro e che hanno condiviso il suo "pensiero". Vorrei che si fermassero a riflettere. Quel tanto che basta per vedere oltre l’odio , che annebbia e distorce. Che rende sterili.Vorrei che leggessero o rileggessero Balducci, Terzani, Don Milani, Ettore Masina, Gino Strada…
Per concludere: anch’io, come Lei, ho avuto un padre speciale. Il mio era un poeta. Più esattamente, un padre-poeta, che mai mi dette né "uno schiaffo tremendo" (pag.17), né uno schiaffo, per impedire che io piangessi ; un padre che,a differenza del suo,conosceva il valore terapeutico delle lacrime, e che sapeva trasformarle- ed è questa la forza degli uomini grandi- in gocce di rugiada…