A PORTO OTTIOLU

 

INCONTRO CON FOGAR

di

ROSALBA SATTA CERIALE

 

"Non ci vedete ma siamo in tanti.Ci vedete poco in giro e ci guardate con imbarazzo fino a farci provare un po’ di vergogna…come se fosse una colpa essere stati colpiti così duramente dal destino".

E’ una delle tante considerazioni-riflessioni che Ambrogio Fogar ha sussurrato il 28 maggio, in occasione del suo incontro con i cittadini di Budoni, a Porto Ottiolu dove la sua barca –la barca della speranza – ha attraccato il 25 maggio.

E’ stato solo un sussurro o un grido?

Ho avuto occasione di incontrarlo nella sua barca il 27.

Non stava bene. Problemi di pressione.

Poche parole di circostanza e poi un "Ciao ci vediamo domani", rivolto a me - che gli avevo fatto dono di una poesia - e alla mia amica Silvestra.

Sapevamo entrambe di vivere un momento magico.

E perciò l’abbiamo vissuto col sorriso perché eravamo consapevoli di trovarci accanto a una persona ricca, a un uomo che ha imparato a riempire di tepore, spessore e significato perfino i silenzi, perché nei momenti senza parole sono i suoi occhi a parlare.

Chi, nel pensare a Fogar, prova un senso di pietà, è fuori strada. La sua strada è quella che conduce all’interno dell’anima, che fruga nei risvolti della mente, che è piena del chiarore del giorno e dell’azzurro del mare. Del suo mare, simbolo di libertà.

"Sono qui per ricordare che ci siamo…".

Altro sussurro.

Altro urlo.

Ed ecco che, all’improvviso appaiono - e l’impatto fa male - le mille e mille barriere architettoniche che sono lì, dappertutto, a ricordarci quanto siano spessi e insuperabili i muri che abbiamo e solleviamo - noi persone "senza" handicap- nella mente.

Anche i tre gradini che separano la barca della speranza dalla sala nella quale Fogar sussurra la sua vita, appaiono oggi - alle soglie del terzo millennio- più emarginanti e assurde del fino spinato che ieri recintava i campi di concentramento.

Sono lì a ricordare che il mondo è costruito a misura di bipede e quadrupede e non di Uomo.

"Sono qui a ricordarvi che la mano va messa in tasca non solo per prendere il fazzoletto…".

Altro sussurro.

Altro urlo per le nostre vite fatte di superfluo.

"Il mio corpo non mi appartiene. Chiunque potrebbe tagliarne un pezzo e non me ne accorgerei.Parlo e respiro solo grazie a una macchina…".

Ma pensi e parli da gigante, caro Fogar! Arrivederci al prossimo approdo!

Ieri eri un solitario esploratore della terra e del mare: vivevi, come tu ci hai ricordato, in modo egocentrico e sfidavi, a me pare, la morte con l’arroganza di un corpo sano, giovane, forte.

Oggi sei l’esploratore dell’anima.

Ora sfidi la vita, attaccandoti al suo capezzolo con l’innocente e caparbia golosità del neonato.

E come il neonato cresci e fai crescere chi ti sto attorno.

Giorno dopo giorno.

Ti ho incontrato e ho portato via con me, furtivamente, un pezzetto della tua forza.

Non prendertela.

Ti abbraccio con le braccia della mente.

Quelle braccia che si sentono anche a distanza.

Quelle braccia che anche il tuo corpo sentirà.

E ricordo l’indirizzo dell’Associazione Italiana Mielolesi: Piazza Sant’Agostino n° 20-20123 Milano-CCn° 829200…perché la mano in tasca va messa non solo per prendere il fazzoletto.

(da "L’Ortobene dell’8 giugno 1997)